Il più grande studio di imaging di questo tipo ha rivelato che le persone con diagnosi di ADHD presentano alterazioni nel cervello. Sono state identificate differenze nelle dimensioni di diverse aree cerebrali e nel volume cerebrale complessivo, con le maggiori discrepanze riscontrate nei bambini rispetto agli adulti. I ricercatori affermano che i risultati, ottenuti dalle scansioni cerebrali di oltre 3.200 individui, forniscono evidenze solide che l’ADHD è una patologia cerebrale.
Lo studio, finanziato dal National Institutes of Health (NIH), è stato pubblicato recentemente ed è frutto del lavoro del Consorzio ENIGMA, un gruppo internazionale e multidisciplinare dedicato allo studio delle differenze genetiche e cerebrali nei disturbi psichiatrici.
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è una patologia neuropsichiatrica comune, caratterizzata da sintomi inappropriati di disattenzione (come difficoltà a mantenere l’attenzione), iperattività (ad esempio, estrema irrequietezza) e impulsività (comprese azioni affrettate e interruzioni eccessive degli altri).
Questo disturbo colpisce più di 1 giovane su 20 sotto i 18 anni. Due terzi dei bambini diagnosticati con ADHD continuano a manifestare sintomi persistenti e compromettenti anche in età adulta, come osservato dagli autori dello studio.
La dott.ssa Martine Hoogman, del dipartimento di genetica umana presso il Radboud University Medical Center di Nijmegen, Paesi Bassi, è la principale investigatrice della sezione ADHD dell’ENIGMA e autrice principale del recente documento.
Sottolinea che la «dimensione senza precedenti» del loro studio è cruciale, poiché ha permesso di identificare differenze «molto piccole – nell’ordine di poche percentuali» nelle dimensioni delle aree cerebrali.
«Differenze simili nel volume cerebrale sono state riscontrate anche in altri disturbi psichiatrici, in particolare nel disturbo depressivo maggiore», aggiunge il dott. Hoogman.
Cervelli di ADHD più piccoli in generale e in alcune regioni
Studi precedenti avevano trovato correlazioni tra le differenze nel volume cerebrale e l’ADHD, ma erano limitati da campioni ridotti, rendendo difficile trarre conclusioni definitive.
Tuttavia, questi studi hanno indicato diverse anomalie cerebrali associate all’ADHD. Alcuni hanno suggerito che i gangli della base – un’area del cervello che controlla emozioni, cognizione e movimento volontario – siano implicati. È stato osservato che due regioni in particolare, il caudato e il putamen, tendono a essere più piccoli nelle persone con ADHD.
Nel nuovo studio, il dottor Hoogman e i suoi colleghi hanno analizzato le differenze strutturali del cervello attraverso scansioni MRI di 1.713 partecipanti con diagnosi di ADHD e 1.529 controlli senza ADHD. L’età dei partecipanti variava da 4 a 63 anni.
Dalle scansioni MRI, il team ha potuto valutare il volume cerebrale totale e le dimensioni di sette regioni cerebrali che studi precedenti avevano collegato all’ADHD. Queste regioni erano il nucleo caudato, il putamen, il nucleo accumbens, il pallido, il talamo, l’amigdala e l’ippocampo.
I risultati hanno mostrato che il cervello dei partecipanti con ADHD era complessivamente più piccolo e che i volumi di cinque delle sette regioni erano significativamente ridotti: il nucleo caudato, il putamen, il nucleo accumbens, l’amigdala e l’ippocampo.
I ricercatori hanno anche considerato se i partecipanti stessero assumendo o avessero mai assunto farmaci per il trattamento dell’ADHD (come il Ritalin), ma questa variabile non sembrava influire sui risultati.
«Disturbi del cervello caratterizzati da uno sviluppo ritardato»
Gli studiosi ipotizzano che l’amigdala sia collegata all’ADHD attraverso il suo ruolo nel controllo delle emozioni, mentre il nucleo accumbens è implicato nell’elaborazione della ricompensa. Il legame tra l’ADHD e l’ippocampo potrebbe derivare dal coinvolgimento di quest’ultima regione nella motivazione e nelle emozioni, suggeriscono.
Le differenze nel volume cerebrale erano particolarmente evidenti nei bambini e meno manifeste negli adulti con ADHD, affermano gli autori, i quali suggeriscono che i risultati indicano che l’ADHD è una malattia cerebrale caratterizzata da uno sviluppo ritardato in diverse aree cerebrali.
Nonostante l’ampia partecipazione di individui di tutte le età, lo studio non è stato progettato per indagare come l’ADHD possa svilupparsi nel corso della vita di una persona. Il team evidenzia la necessità di studi longitudinali che seguano i bambini con ADHD fino all’età adulta e monitorino i cambiamenti cerebrali nel tempo.
«I risultati del nostro studio confermano che le persone con ADHD presentano differenze strutturali nel loro cervello e quindi suggeriscono che l’ADHD è una malattia cerebrale. Speriamo che questo possa contribuire a ridurre lo stigma secondo cui l’ADHD è ‘solo un’etichetta’ per bambini difficili o causato da una cattiva genitorialità; non è affatto così, e auspichiamo che il nostro lavoro possa migliorare la comprensione di questo disturbo», afferma il dott. Martine Hoogman.
Il dott. Jonathan Posner, professore associato di psichiatria alla Columbia University di New York, che non ha partecipato allo studio, ha commentato che l’ampiezza unica di questa ricerca rende il lavoro «ben equipaggiato per rilevare effetti di piccola dimensione», essenziali quando si studia l’ADHD per via della sua natura biologica e clinica.
Egli sottolinea che questo studio fornisce un contributo significativo «offrendo solide prove a sostegno dell’idea che l’ADHD sia un disturbo cerebrale con effetti sostanziali sui volumi di nuclei subcorticali». Invita inoltre a ulteriori ricerche per monitorare le differenze cerebrali nello sviluppo dell’ADHD e suggerisce di investigare anche eventuali effetti farmacologici.
In conclusione, è importante scoprire come l’ADHD possa essere diagnosticato in modo eccessivo nei bambini più piccoli, poiché la corretta identificazione e trattamento di questo disturbo è essenziale per il benessere dei giovani pazienti.
Nuove Prospettive di Ricerca nel 2024
Nel 2024, è fondamentale continuare a esplorare le implicazioni di questi risultati. Studi recenti suggeriscono che l’ADHD non solo influisce sulle capacità cognitive, ma può anche essere associato a comorbidità come l’ansia e la depressione, aumentando il rischio di problematiche sociali e scolastiche. È essenziale che i professionisti della salute mentale e i pediatri collaborino per sviluppare approcci integrati che considerino non solo il trattamento dei sintomi dell’ADHD, ma anche il supporto per le condizioni associate.
Inoltre, la ricerca futura dovrebbe concentrarsi sulle differenze individuali nella risposta ai trattamenti, in modo da personalizzare le strategie terapeutiche e migliorare i risultati per ogni paziente. In questo contesto, l’uso di tecnologie avanzate, come la neurofeedback e l’analisi dei dati neurofisiologici, potrebbe fornire nuove chiavi di lettura per comprendere meglio il disturbo e le sue manifestazioni. Solo così potremo fare progressi significativi nella diagnosi e nel trattamento dell’ADHD, contribuendo a una vita migliore per chi ne è colpito.