Uno studio su topi ha scoperto che la beta amiloide, la proteina legata a uno dei tratti distintivi del morbo di Alzheimer nel cervello, può avere origine anche da altre parti del corpo. Questo apre nuove strade nella comprensione e nel trattamento della malattia.
Nella pubblicazione, i ricercatori descrivono come abbiano collegato chirurgicamente i topi tra loro per diversi mesi, dimostrando che la beta amiloide presente nel sangue può entrare nel cervello e innescare sintomi della malattia di Alzheimer.
Se i risultati di questo studio si rivelassero applicabili agli esseri umani, il team spera che possano portare allo sviluppo di farmaci che non si concentrino sul cervello, un’area difficile da trattare. Potrebbe risultare più semplice eliminare la proteina prima che raggiunga il cervello, per esempio, intervenendo su fegato o reni.
La ricercatrice co-senior Weihong Song, professore di psichiatria presso l’Università della British Columbia in Canada, spiega: «La barriera emato-encefalica si indebolisce con l’avanzare dell’età. Ciò potrebbe consentire a una maggiore quantità di beta amiloide di infiltrarsi nel cervello, integrando quella prodotta dallo stesso cervello e accelerando il deterioramento.»
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza, una condizione che danneggia progressivamente il cervello, compromettendo la capacità delle persone di ragionare, ricordare, comunicare e prendersi cura di sé stesse.
Sebbene esista una forma di Alzheimer che può colpire i più giovani, la malattia è più frequente tra le persone di 60 anni o più.
Beta-amiloide e placche
Dei 47 milioni di persone in tutto il mondo affette da demenza, si stima che circa il 65% abbia il morbo di Alzheimer.
Negli Stati Uniti, circa 5 milioni di persone convivono con il morbo di Alzheimer, e questo numero è destinato a crescere fino a 14 milioni entro il 2050.
La causa esatta dell’Alzheimer rimane poco chiara. Gli esperti concordano generalmente sul fatto che ci siano molteplici fattori in gioco, che si manifestano in modo diverso in ogni individuo.
Un segno distintivo della malattia è la presenza di depositi anomali e appiccicosi di proteina beta amiloide nel cervello. Con l’aumento di questi depositi, le cellule cerebrali e le loro connessioni vengono interrotte, portando infine alla morte delle cellule cerebrali.
La beta amiloide si origina da una proteina più grande, presente non solo nel cervello, ma anche in altri organi. Viene prodotta anche nelle piastrine del sangue, nei muscoli e nei vasi sanguigni.
Targhe e «grovigli»
Nel loro rapporto di studio, i ricercatori chiariscono che, a causa della barriera emato-encefalica, si è sempre creduto che la beta amiloide che causa le placche cerebrali associate alla malattia di Alzheimer avesse origine esclusivamente nel cervello. Tuttavia, questa visione non era mai stata messa alla prova.
Per il loro studio, il team ha progettato topi per trasportare una versione di un gene umano che produce alti livelli di beta amiloide e li ha collegati chirurgicamente – in un metodo chiamato «parabiosi» – a topi «wild-type» normali.
Dopo un periodo di 12 mesi, i topi normali hanno sviluppato segni di malattia di Alzheimer, inclusa l’accumulazione di placche di beta amiloide tra le cellule cerebrali.
Il team ha inoltre scoperto che alcune delle cellule cerebrali degli animali presentavano caratteristiche simili a «grovigli», ovvero fili intrecciati di proteine, un’altra caratteristica della malattia di Alzheimer. Questi grovigli contribuiscono anche alla morte delle cellule cerebrali.
Altri segni della malattia includevano la degenerazione delle cellule cerebrali, piccoli sanguinamenti e infiammazione.
Inoltre, già dopo soli 4 mesi di collegamento con i topi portatori del gene mutato, i cervelli dei topi normali mostravano interruzioni nei segnali elettrici che trasmettono informazioni tra le cellule.
Il Prof. Song afferma che la beta amiloide ha viaggiato dai topi con il gene mutato attraverso il flusso sanguigno fino al cervello dei topi normali.
«La malattia di Alzheimer è chiaramente una malattia del cervello, ma dobbiamo prestare attenzione a tutto il corpo per capire da dove proviene e come fermarla», conclude il Prof. Weihong Song.
Prospettive Future e Nuove Ricerche
Le scoperte recenti suggeriscono che l’approccio terapeutico potrebbe dover includere non solo il cervello, ma anche altri organi, come fegato e reni, per affrontare efficacemente la malattia di Alzheimer. Sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire i meccanismi attraverso i quali la beta amiloide può migrare e i fattori che influenzano la sua produzione in altre parti del corpo.
Studi recenti indicano che interventi precoci e strategie preventive potrebbero ridurre il rischio di sviluppo della malattia. Ad esempio, una dieta equilibrata, l’esercizio fisico regolare e il controllo di fattori di rischio cardiovascolare possono contribuire a mantenere una salute cerebrale ottimale.
In conclusione, il panorama della ricerca sull’Alzheimer è in continua evoluzione. Con l’emergere di nuove evidenze, diventa sempre più chiaro che per affrontare questa complessa malattia è necessario un approccio multidisciplinare e innovativo.