Correzione del Gene dell’Alzheimer: Scoperte Rivoluzionarie

La ricerca pionieristica mostra, per la prima volta, come il fattore di rischio genetico più noto per la malattia di Alzheimer causi segni nelle cellule del cervello umano. Inoltre, gli scienziati sono riusciti a correggere il gene e cancellare i suoi effetti nocivi.

Struttura del DNA

Il complesso ruolo del gene dell’apolipoproteina (APOE) nello sviluppo dell’Alzheimer è stato studiato approfonditamente.

Ad esempio, i ricercatori sanno che avere una copia della variante del gene APOE4 aumenta il rischio di Alzheimer di due o tre volte.

E avere due copie di questa variante genetica mette le persone a un rischio 12 volte più alto.

Normalmente, il ruolo dell’APOE è quello di fornire istruzioni per creare la proteina con lo stesso nome.

In combinazione con i grassi, APOE crea lipoproteine, che aiutano a trasportare e regolare i livelli di colesterolo nel sangue.

Tuttavia, la versione E4 del gene sembra essere particolarmente dannosa per il cervello, con diversi studi che dimostrano che questa variante genetica aumenta il rischio di beta amiloide tossica e accumulo di tau.

Ma perché è così? Cosa rende la variante E4 di questo gene molto più dannosa rispetto ad altre varianti?

I ricercatori degli Istituti Gladstone di San Francisco, in California, volevano scoprirlo. Le loro scoperte sono state appena pubblicate sulla rivista

APOE4 studiato per la prima volta nelle cellule umane

Più in particolare, i ricercatori hanno voluto individuare e comprendere la differenza sottile ma cruciale tra le varianti E3 ed E4 che rende il gene APOE4 così devastante.

È un caso, si chiedono i ricercatori, la variante E4 che fa perdere all’APOE3 alcune delle sue funzioni? Oppure è che più APOE4 ha effetti tossici?

Il ricercatore capo Dr. Yadong Huang – un professore di neurologia e patologia all’Università della California, a San Francisco – spiega l’importanza di questa domanda.

«È fondamentale,» dice, «rispondere a questa domanda perché cambia il modo in cui trattate il problema: se il danno è causato dalla perdita della funzione di una proteina, vorreste aumentare i livelli di proteine per integrare quelle funzioni».

«Ma se l’accumulo di una proteina porta a una funzione tossica, si vuole abbassare la produzione della proteina per bloccare il suo effetto dannoso.»

Per scoprirlo, i ricercatori hanno modellato la malattia nelle cellule umane, esaminando l’effetto dell’APOE4 sulle cellule del cervello umano per la prima volta. Il Dr. Huang spiega perché cambiare il modello di malattia è stato, di per sé, un grande passo per la ricerca dell’Alzheimer.

«Molti farmaci», spiega, «funzionano magnificamente in un modello di topo, ma finora sono tutti falliti nei test clinici. Una preoccupazione nel campo è stata la scarsità di questi modelli murini che imitano la malattia umana».

Di topi e umani: lo studio trova differenze

Applicando la tecnologia delle cellule staminali alle cellule della pelle di persone affette da Alzheimer che avevano due copie del gene APOE4, il Dr. Huang e il suo team hanno creato neuroni.

I ricercatori hanno anche creato cellule cerebrali utilizzando cellule della pelle di persone che non avevano l’Alzheimer e avevano due copie del gene APOE3.

Gli scienziati hanno scoperto che nelle cellule del cervello umano, la proteina APOE4 ha una «conformazione patogena» – il che significa che ha una forma anormale che gli impedisce di funzionare correttamente, portando a una serie di problemi che causano malattie.

Vale a dire, «i neuroni che esprimono APOE4 avevano livelli più elevati di fosforilazione dei tau», scrivono gli autori, che «non erano correlati alla loro aumentata produzione di peptidi amiloidi- [beta] e […] mostravano la degenerazione del neurone GABAergico».

È importante sottolineare che hanno anche scoperto che «APOE4 ha aumentato la produzione di [amiloide-beta] nei neuroni umani, ma non nei topi».

«Esiste un’importante differenza di specie nell’effetto di APOE4 sulla beta amiloide», spiega l’autore del primo studio Chengzhong Wang.

«L’aumento della produzione di beta amiloide non è visto nei neuroni del mouse e potrebbe potenzialmente spiegare alcune delle discrepanze tra i topi e gli esseri umani riguardo l’efficacia del farmaco. Questa sarà un’informazione molto importante per lo sviluppo futuro del farmaco».

Chengzhong Wang

Correggere il gene difettoso

Successivamente, il dottor Huang e il team hanno voluto verificare se si trattasse della perdita dell’APOE3 o dell’accumulo di APOE4 che ha causato la malattia.

Quindi, hanno confrontato i neuroni che non producevano né la variante E3 né la variante E4 della proteina con cellule a cui era stato aggiunto APOE4.

Il primo ha continuato a comportarsi normalmente, mentre l’aggiunta di APOE4 ha portato a patologie di tipo Alzheimer. Ciò ha confermato il fatto che è la presenza dell’APOE4 a causare la malattia.

Come passo finale, il Dr. Huang e il suo team hanno cercato modi per risolvere il gene difettoso. A tal fine, hanno applicato un «correttore di struttura» APOE4 precedentemente sviluppato.

Il cosiddetto correttore di struttura è stato mostrato in precedenti ricerche, guidate dallo stesso Dr. Huang, per modificare la struttura di APOE4 in modo che appaia e si comporti più come l’APOE3 inoffensivo.

L’applicazione di questo composto ai neuroni umani APOE4 ha corretto i difetti, eliminando in tal modo i segni della malattia, ripristinando la normale funzione cellulare e aiutando le cellule a vivere più a lungo.

I ricercatori concludono:

«Il trattamento dei neuroni che esprimono APOE4 con un correttore di struttura a piccole molecole ha migliorato gli effetti dannosi, dimostrando così che la correzione della conformazione patogena di APOE4 è un approccio terapeutico praticabile per la malattia di Alzheimer correlata all’APOE4.»

Nuove Scoperte e Prospettive Future

Negli ultimi anni, la ricerca sull’Alzheimer ha fatto passi da gigante, portando a scoperte che potrebbero cambiare radicalmente il panorama terapeutico. Recenti studi hanno evidenziato l’importanza di interventi precoci e personalizzati, con un focus sull’analisi genetica per identificare i pazienti a rischio. Inoltre, l’uso di biomarcatori per monitorare la progressione della malattia sta diventando sempre più comune, permettendo trattamenti più mirati.

Studi recenti hanno anche dimostrato che stili di vita sani, che includono una dieta equilibrata e attività fisica regolare, possono ridurre significativamente il rischio di sviluppare l’Alzheimer. È interessante notare che ricerche hanno rivelato un legame diretto tra la salute cardiovascolare e il rischio di Alzheimer, suggerendo che il mantenimento di un cuore sano possa avere effetti protettivi sul cervello.

In conclusione, sebbene ci siano ancora molte sfide da affrontare nella lotta contro l’Alzheimer, le scoperte recenti offrono nuove speranze e prospettive per il futuro. Con l’avanzare della ricerca e l’innovazione in campo medico, ci aspettiamo progressi significativi nella prevenzione e nel trattamento di questa complessa malattia neurodegenerativa.

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