Cure Innovative per il Diabete di Tipo 1: Nuove Scoperte sulle Cellule Staminali

Aumentare i livelli di una specifica proteina nelle cellule staminali del sangue affinché il sistema immunitario smetta di attaccare le cellule produttrici di insulina nel pancreas potrebbe rappresentare una via promettente per fermare il diabete di tipo 1. Questo è quanto emerge da un recente studio pubblicato da ricercatori del Boston Children’s Hospital, affiliato alla Harvard Medical School.

Puntura del dito per prelievo di sangue per analisi diabetiche

I ricercatori hanno scoperto che era possibile invertire l’iperglicemia in modelli murini affetti da diabete mediante la modifica delle loro cellule staminali del sangue difettose, per aumentare la produzione di una proteina nota come PD-L1.

Nel diabete di tipo 1, il pancreas non riesce a produrre una quantità sufficiente di insulina. In assenza di un’adeguata insulina, il corpo non può convertire il glucosio nel sangue in energia, il che porta a un accumulo di zucchero nel flusso sanguigno.

L’iperglicemia, se non trattata, può causare gravi complicazioni nel lungo termine, tra cui problemi di vista e danni ai vasi sanguigni, ai nervi e ai reni.

Il sistema immunitario attacca le cellule beta

Circa il 5% dei 23,1 milioni di persone con diabete negli Stati Uniti ha una diagnosi di diabete di tipo 1.

Il pancreas, situato appena dietro lo stomaco, produce insulina attraverso le cellule beta, le quali monitorano i livelli di glucosio nel sangue e rilasciano la quantità necessaria di insulina per mantenere stabili i livelli di zucchero.

Nel diabete di tipo 1, un malfunzionamento del sistema immunitario fa sì che le cellule T infiammatorie attacchino le cellule beta del pancreas, compiendo un’azione autoimmunitaria. Sebbene non sia chiaro come questo processo inizi, gli scienziati ipotizzano che un’infezione virale o altri fattori ambientali possano attivarlo in soggetti predisposti geneticamente.

Il «Santo Graal» per gli scienziati che cercano una cura per il diabete di tipo 1 è identificare un metodo per prevenire o fermare l’attacco immunitario alle cellule beta.

Diversi approcci sono stati testati, inclusi farmaci «citostatici» per fermare l’attività cellulare, vaccini per modificare la risposta immunitaria e trattamenti con cellule staminali prelevate da cordoni ombelicali.

«Cellule staminali del sangue difettose»

Un approccio che ha mostrato più promesse è il «trapianto di midollo osseo autologo», che mira a «riavviare» il sistema immunitario di un individuo utilizzando le proprie cellule staminali ematopoietiche. Tuttavia, anche questo metodo non ha prodotto i risultati sperati.

Nel nuovo studio, i ricercatori guidati dal professor Paolo Fiorina, assistente professore di pediatria presso il Boston Children’s Hospital, hanno identificato perché i trattamenti con cellule staminali ematopoietiche potrebbero non funzionare sempre.

«Abbiamo scoperto che nel diabete», afferma il Prof. Fiorina, «le cellule staminali del sangue presentano difetti che promuovono l’infiammazione e, probabilmente, contribuiscono all’insorgenza della malattia».

Il difetto identificato consiste nel fatto che le cellule staminali del sangue non producono una quantità sufficiente di PD-L1, una proteina che mitiga l’attacco delle cellule T.

Attraverso il profilo di espressione genica, i ricercatori hanno analizzato quali proteine vengono prodotte dalle cellule staminali del sangue, scoprendo che la rete genetica coinvolta nella produzione di PD-L1 differisce tra le cellule staminali ematopoietiche di soggetti umani e topi diabetici. Questa disparità è sufficiente a inibire la produzione di PD-L1, anche nelle prime fasi della malattia.

‘Rimodellare il sistema immunitario’

La PD-L1 è una molecola cruciale per il «sistema immunitario» che contribuisce a mantenere l’equilibrio immunitario. Quando si lega a un’altra proteina, la PD-1, presente sulla superficie delle cellule T, ne inibisce l’attività.

Attraverso una serie di esperimenti, gli scienziati hanno trattato le cellule staminali del sangue affinché producessero maggiori quantità di PD-L1, seguendo poi l’effetto su cellule umane e murine. I risultati hanno dimostrato che le cellule staminali del sangue modificate riducevano l’infiammazione immunitaria sia nelle cellule umane che nei topi.

Quando hanno iniettato topi diabetici con le cellule staminali modificate, hanno osservato che queste cellule si dirigevano verso il pancreas, invertendo temporaneamente l’iperglicemia. A lungo termine, un terzo dei topi ha mantenuto livelli normali di zucchero nel sangue per tutta la vita.

«C’è un rimodellamento del sistema immunitario quando si introducono queste cellule», commenta la professoressa Fiorina.

I ricercatori hanno esplorato due metodologie per stimolare le cellule staminali del sangue a produrre più PD-L1: una mediante l’inserimento di un gene sano per PD-L1 e l’altra modificando il meccanismo proteico delle cellule tramite un «cocktail» di tre piccole molecole. Entrambi i metodi hanno dimostrato di invertire il diabete con effetti simili.

«La bellezza di questo approccio risiede nell’assenza virtuale di effetti collaterali, poiché si utilizzano le cellule stesse del paziente», afferma il Prof. Paolo Fiorina.

Nel frattempo, i ricercatori stanno collaborando con un’azienda privata per perfezionare il metodo che impiega il cocktail di piccole molecole e sperano di avviare una sperimentazione clinica di questo approccio come trattamento per il diabete di tipo 1.

Prospettive Future e Ultime Scoperte

Le ricerche più recenti nel campo del diabete di tipo 1 hanno messo in luce la potenzialità delle cellule staminali ematopoietiche modificate, non solo per il trattamento, ma anche per la prevenzione della malattia. Alcuni studi hanno evidenziato che la manipolazione del microambiente immunitario, attraverso l’uso di fattori di crescita specifici e molecole segnale, potrebbe migliorare ulteriormente l’efficacia di tali trattamenti. Inoltre, l’analisi genetica avanzata sta permettendo di identificare biomarcatori predittivi che potrebbero aiutare a individuare i pazienti a rischio prima che la malattia si manifesti.

In aggiunta, un crescente numero di trial clinici sta esplorando combinazioni di terapie immunologiche e genetiche per ottenere risultati ancora più promettenti. La ricerca continua a muoversi verso una maggiore personalizzazione dei trattamenti, con l’obiettivo finale di garantire una vita sana e senza complicazioni per le persone affette da diabete di tipo 1 in futuro.

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