Il diabete di tipo 2 sta rapidamente evolvendo nel modo in cui lo comprendiamo, emergendo come una condizione autoimmune piuttosto che semplicemente un disturbo metabolico. Recenti ricerche pubblicate su Nature Medicine hanno aperto nuove strade per trattamenti mirati che si concentrano sul sistema immunitario, anziché semplicemente controllare la glicemia.
In questo studio, i ricercatori hanno dimostrato l’efficacia di un anticorpo noto come anti-CD20, che agisce eliminando le cellule B mature nel sistema immunitario. Questa strategia ha interrotto lo sviluppo del diabete di tipo 2 nei topi predisposti e ha ripristinato i livelli di zucchero nel sangue a valori normali. L’anti-CD20, attualmente disponibile negli Stati Uniti con i nomi commerciali Rituxan e MabThera, è già utilizzato per trattare alcune malattie autoimmuni e tumori ematologici, ma ulteriori studi sono necessari per verificarne l’efficacia negli esseri umani.
I ricercatori suggeriscono che la resistenza all’insulina, caratteristica del diabete di tipo 2, possa derivare dall’attacco delle cellule B e di altre cellule immunitarie ai tessuti corporei. Daniel Winer, co-autore dello studio e attualmente patologo endocrino presso il University Health Network dell’Università di Toronto, ha dichiarato:
«Stiamo ridefinendo una delle malattie più comuni in America come autoimmune, piuttosto che puramente metabolica».
Questa visione innovativa potrebbe cambiare radicalmente l’approccio alla medicina e alla comprensione dell’obesità, spingendo i medici a considerare trattamenti immunomodulatori per il diabete di tipo 2.
La ricerca mette in luce come il diabete di tipo 2, tradizionalmente considerato un disturbo metabolico, condivida similitudini con il diabete di tipo 1, dove il sistema immunitario distrugge le cellule produttrici di insulina nel pancreas. La condizione si sviluppa quando i tessuti corporei diventano progressivamente resistenti all’insulina, l’ormone essenziale per il metabolismo del glucosio. Anche se non conosciamo esattamente perché ciò accada, è evidente che l’obesità e la predisposizione genetica giocano un ruolo fondamentale.
Il team di ricerca, che include anche Shawn Winer e Lei Shen, ha suggerito che l’infiammazione nel tessuto adiposo, indotta da una dieta ricca di grassi e ipercalorica, potrebbe essere un fattore chiave. Questo tipo di dieta porta a un’infiammazione che coinvolge non solo i macrofagi, ma anche le cellule T e le cellule B, compromettendo la capacità delle cellule adipose di rispondere all’insulina.
Engleman ha affermato:
«Questa reazione immunitaria provoca il caos nel tessuto adiposo».
Studiando più da vicino questa reazione, i ricercatori hanno scoperto che essa compromette la funzione delle cellule adipose, portando a conseguenze come malattie epatiche grasse e colesterolo elevato, aggravando ulteriormente la resistenza all’insulina.
Per testare le loro ipotesi, i ricercatori hanno nutrito topi con una dieta ricca di grassi e, in un breve periodo, questi hanno sviluppato obesità e un aumento della glicemia. Tuttavia, bloccando l’azione delle cellule T, i topi non hanno sviluppato il diabete, suggerendo che le cellule T e B sono cruciali nel processo.
Il passo successivo è stato quello di esaminare le cellule B, responsabili della stimolazione delle cellule T e della produzione di anticorpi. I risultati hanno mostrato che, mentre i topi privi di cellule B non sviluppavano insulino-resistenza, l’iniezione di anticorpi da topi obesi ha portato a un netto deterioramento della loro capacità di metabolizzare il glucosio.
Per capire se questo fenomeno si verifica anche negli esseri umani, i ricercatori hanno studiato 32 persone in sovrappeso, scoprendo che coloro che presentavano insulino-resistenza producevano anticorpi contro le proprie proteine, a differenza di coloro che non erano resistenti all’insulina. Questo suggerisce fortemente che la resistenza all’insulina possa essere legata a un processo autoimmune.
Winer ha ipotizzato che, in futuro, potrebbe essere possibile sviluppare vaccini contro il diabete di tipo 2, mirati a stimolare risposte immunitarie protettive.
In una fase finale dello studio, i ricercatori hanno testato l’anticorpo anti-CD20, approvato dalla FDA, su topi alimentati con una dieta ricca di grassi. I risultati hanno mostrato che, pur migliorando temporaneamente il metabolismo del glucosio, dopo un certo periodo i topi hanno iniziato a sviluppare insulino-resistenza a causa della proliferazione di nuove cellule B.
Tuttavia, Engleman ha avvertito che non dobbiamo saltare a conclusioni premature riguardo all’uso di Rituximab negli esseri umani, sottolineando che dieta ed esercizio rimangono le strategie più efficaci per prevenire il diabete di tipo 2.
I finanziamenti per la ricerca provengono dai National Institutes of Health, e i ricercatori hanno richiesto brevetti congiunti riguardo all’uso di cellule B e agenti correlati come descritto negli studi.
«Le cellule B promuovono la resistenza all’insulina attraverso la modulazione delle cellule T e la produzione di anticorpi anti-IgG patogeni».
Daniel A Winer, Shawn Winer, Lei Shen, Persis P Wadia, Jason Yantha, Geoffrey Paltser, Hubert Tsui, Ping Wu, Matthew G Davidson, Michael N Alonso, Hwei X Leong, Alec Glassford, Maria Caimol, Justin A Kenkel, Thomas F Tedder, Tracey McLaughlin, David B Miklos, H-Michael Dosch e Edgar G Engleman.
Nature Medicine, pubblicato online: 17 aprile 2011
DOI: 10.1038/nm.2353
Fonte: Stanford School of Medicine (comunicato stampa 17 aprile 2011).
Scritto da: Catharine Paddock, PhD
Prospettive Future e Ricerche Recenti
Negli ultimi anni, la ricerca sul diabete di tipo 2 ha fatto enormi passi avanti. È emerso che l’infiammazione cronica e il sistema immunitario giocano un ruolo cruciale non solo nello sviluppo della malattia, ma anche nella sua progressione. Recenti studi hanno dimostrato che l’interazione tra microbiota intestinale e sistema immunitario può influenzare la sensibilità all’insulina, suggerendo che modifiche nella dieta potrebbero avere effetti significativi.
Inoltre, i dati provenienti da studi clinici recenti hanno mostrato che l’approccio terapeutico che combina la gestione del peso e l’attività fisica con farmaci immunomodulatori potrebbe migliorare significativamente i risultati per i pazienti con diabete di tipo 2. La personalizzazione del trattamento, tenendo in considerazione le variazioni individuali nella risposta immunitaria, è una direzione promettente per il futuro della gestione del diabete.
In conclusione, mentre le ricerche continuano a evolversi, è chiaro che la comprensione del diabete di tipo 2 sta cambiando radicalmente. Questo approccio innovativo apre la strada a nuove possibilità di trattamento e a una gestione più efficace della malattia, promettendo un futuro in cui il diabete di tipo 2 potrebbe essere affrontato con strategie mirate e personalizzate.