Malattia Infiammatoria Intestinale e Rischio di Morbo di Parkinson

Un nuovo studio nazionale danese su una popolazione che copre quasi 40 anni ha rivelato che le persone con malattia infiammatoria intestinale presentano un rischio maggiore del 22% di sviluppare il morbo di Parkinson rispetto a coloro che non soffrono di questo disturbo intestinale cronico.

Uomo anziano con mal di stomaco

Questa ricerca supporta la teoria dell’asse intestino-cervello, evidenziando come eventi nel tratto gastrointestinale (GI) possano influenzare il sistema nervoso centrale.

Le evidenze suggeriscono che l’intestino e il sistema nervoso comunicano attivamente, e che l’attività microbica intestinale possa regolare la chimica cerebrale.

La pubblicazione dello studio danese arriva in seguito a un’altra ricerca condotta negli Stati Uniti, la quale ha scoperto che avere una malattia infiammatoria intestinale (IBD) era associato a un rischio maggiore del 28% di sviluppare il morbo di Parkinson.

IBD e Morbo di Parkinson

L’IBD è una condizione cronica che provoca infiammazione del tratto gastrointestinale, risultante da un attacco del sistema immunitario alle cellule sane dell’intestino e ai batteri benefici residenti.

Esistono due forme principali di IBD: la colite ulcerosa, che colpisce principalmente il colon, e la malattia di Crohn, che può interessare qualsiasi parte dell’intestino, dalla bocca all’ano.

Le stime indicano che circa 3 milioni di adulti negli Stati Uniti sono stati diagnosticati con IBD nel corso della loro vita.

È importante non confondere l’IBD con altre due condizioni intestinali: la sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e la celiachia.

Sebbene l’IBS possa causare disagio intestinale, non è causata da infiammazione. D’altra parte, la celiachia provoca infiammazione dovuta a una reazione al glutine, una proteina presente nel grano e in altri cereali.

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata dalla morte delle cellule cerebrali. I sintomi più comuni includono rigidità muscolare, tremori, lentezza nei movimenti e difficoltà nella coordinazione e nell’equilibrio.

In aggiunta, possono manifestarsi sintomi non motori come depressione, ansia, affaticamento, disturbi del sonno e problematiche intestinali.

Si stima che oltre 10 milioni di persone nel mondo siano affette dal morbo di Parkinson, di cui circa un milione negli Stati Uniti.

Infiammazione Intestinale e Morbo di Parkinson

Studi precedenti hanno suggerito che l’infiammazione intestinale possa influenzare lo sviluppo del morbo di Parkinson e dell’atrofia multisistemica (MSA), una rara malattia neurologica con sintomi simili al Parkinson.

Nel loro studio, i ricercatori, guidati dal Dr. Tomasz Brudek del Laboratorio di ricerca per stereologia e neuroscienze dell’ospedale Bispebjerg e Frederiksberg di Copenaghen, sottolineano che le disfunzioni GI si manifestano precocemente nel Parkinson e «contribuiscono in modo significativo» alle complicazioni correlate alla malattia.

La Dott.ssa Brudek e il suo team si sono posti l’obiettivo di indagare se esista un legame tra IBD e il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson o la MSA.

Hanno esaminato tutti i residenti danesi diagnosticati con IBD tra il 1977 e il 2014, confrontandoli con membri «comparabili» della popolazione generale senza IBD. Complessivamente, il campione ha incluso 76.477 individui con IBD e oltre 7,5 milioni senza.

Il follow-up di 37 anni è iniziato dal giorno della diagnosi fino all’insorgenza di Parkinson o MSA, determinata dai registri del Registro nazionale dei pazienti danese.

Lo Studio Non Dimostra la Causalità

L’analisi ha rivelato che le persone con diagnosi di IBD avevano un rischio maggiore del 22% di sviluppare Parkinson rispetto alle controparti senza IBD.

Il rischio aumentato non era influenzato dal sesso, dall’età alla diagnosi di IBD o dalla durata del follow-up. Tuttavia, gli autori osservano che coloro con IBD e colite ulcerosa «mostravano un rischio leggermente superiore» rispetto a quelli con malattia di Crohn.

L’analisi ha anche suggerito un potenziale rischio maggiore del 41% di MSA per i soggetti con IBD rispetto a quelli senza, sebbene ciò si basasse su un’incidenza molto bassa di MSA.

I ricercatori avvertono che, essendo questo uno studio osservazionale, non possono concludere con certezza che l’IBD aumenti il rischio di malattia di Parkinson.

Tuttavia, poiché hanno trovato un collegamento e considerato che il loro studio è il primo «studio epidemiologico che analizza il rischio di parkinsonismo in una coorte non selezionata, a livello nazionale di pazienti con IBD con follow-up a lungo termine», esortano i medici a «essere consapevoli dei sintomi del parkinsonismo in pazienti con IBD».

Suggeriscono inoltre che:

  • «L’identificazione dei fattori di rischio associati alle fasi prodromiche della malattia di Parkinson potrebbe consentire studi di intervento precoce che potrebbero modificare o rallentare il progresso della malattia».

Nuove Ricerche e Prospettive per il 2024

Alla luce delle recenti scoperte, è fondamentale continuare a esplorare il legame tra IBD e morbo di Parkinson. Nuove ricerche nel 2024 stanno approfondendo il ruolo della microbiota intestinale nella modulazione della malattia neurodegenerativa. Studi preliminari suggeriscono che alterazioni nella composizione del microbioma intestinale possano influenzare non solo l’infiammazione, ma anche la salute cerebrale, potenzialmente contribuendo allo sviluppo di sintomi parkinsoniani.

Inoltre, una meta-analisi condotta su diverse coorti di pazienti con IBD ha evidenziato un aumento significativo dell’incidenza di disturbi motori, incluso il morbo di Parkinson, suggerendo la necessità di monitoraggio regolare dei pazienti con IBD per segni precoce di parkinsonismo.

Infine, l’approccio terapeutico potrebbe evolversi nel 2024, con studi clinici in corso che valutano l’efficacia di probiotici e modificatori della dieta nel migliorare la salute intestinale e, di conseguenza, ridurre il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative. Questi sviluppi potrebbero avere un impatto significativo sulla gestione clinica dei pazienti affetti da IBD, aprendo la strada a nuove strategie preventive e terapeutiche.

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