La Paura dell’Esercizio: Ostacolo Principale per il Recupero dalla CFS

Secondo i dati dello studio riportati nella rivista, uno degli elementi più importanti per migliorare la funzione fisica nei pazienti con sindrome da stanchezza cronica è l’uso della terapia per ridurre la paura che l’esercizio possa peggiorare i sintomi, piuttosto che migliorarli.

Donna stanca sulla pista di atletica

Nota anche come «encefalomielite mialgica» o «ME», la sindrome da stanchezza cronica (CFS) è caratterizzata da sintomi di grave esaurimento che impattano significativamente sulla vita quotidiana dei pazienti e sulla loro capacità di affrontare compiti di routine.

Nel 2011, sono stati pubblicati i risultati dello studio PACE, che ha esaminato vari trattamenti per la CFS:

  • Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): una forma di terapia interattiva in cui un professionista della salute guida il paziente nella comprensione dei propri sintomi e nel cambiamento delle proprie reazioni ai medesimi.
  • Terapia per esercizi graduati (GET): un programma personalizzato di attività fisica condotto da un fisioterapista, che aumenta progressivamente il livello di esercizio del paziente.
  • Terapia di stimolazione adattativa (APT): una strategia in cui i pazienti modificano i propri livelli di attività per massimizzare l’uso della loro energia disponibile.

I ricercatori dietro il nuovo studio – provenienti dal King’s College di Londra, dall’Università di Oxford e dalla Queen Mary University di Londra, tutti nel Regno Unito – hanno riesaminato i dati dello studio PACE utilizzando un metodo statistico noto come analisi della meditazione.

L’obiettivo di questo riesame era identificare le convinzioni sull’esercizio fisico e sulla forma fisica, utilizzate nella CBT e nella GET, per migliorare i sintomi di affaticamento e la funzione fisica nei pazienti con CFS.

Interventi per la CFS: benefici «moderati»

Il team ha scoperto che, sebbene la CBT e la GET fossero sicure ed efficaci per la maggior parte dei pazienti con CFS, i miglioramenti osservati nello studio PACE erano solo moderati. Gli autori affermano che, identificando i meccanismi attraverso cui alcuni pazienti traggono beneficio dal trattamento, la loro ricerca contribuirà a ottimizzare questi approcci terapeutici.

Analizzando una serie di fattori di mediazione, gli autori riportano che il fattore più influente sul successo della CBT e della GET nei pazienti CFS è la riduzione delle «credenze di evitamento legate alla paura». Queste convinzioni sono paure, considerate «comprensibili» dagli autori, che i pazienti nutrono riguardo al fatto che i loro sintomi possano aggravarsi a causa dell’attività fisica.

È stato stimato che fino al 60% dell’effetto complessivo della CBT o della GET sugli esiti dei pazienti sia attribuibile a questo fattore.

Inoltre, è emerso che la GET ha mostrato maggiore successo rispetto alla CBT nel migliorare l’abbandono della paura e nel favorire una maggiore tolleranza all’esercizio, misurata attraverso il numero di metri percorsi dai pazienti in un tempo stabilito.

La prof.ssa Trudie Chalder, del King’s College di Londra, commenta:

«I nostri risultati suggeriscono che le credenze legate alla paura possono essere modificate sfidando direttamente tali convinzioni (come avviene nella CBT) o semplicemente cambiando il comportamento mediante un approccio graduale all’attività evitata (come nella GET). Clinicamente, i risultati indicano che i terapeuti che forniscono la CBT potrebbero incoraggiare una maggiore attività fisica, come camminare, che potrebbe amplificare l’effetto della CBT e risultare più accettabile per i pazienti».

In un commento correlato, il Dr. Hans Knoop e Jan Wiborg, del Radboud University Medical Centre nei Paesi Bassi, giungono a una conclusione leggermente diversa rispetto agli autori dello studio.

«Chalder e colleghi concludono che gli studi futuri dovrebbero concentrarsi sul miglioramento dell’autoefficacia e sull’aumento dell’attività fisica, poiché questi mediatori identificati presentano forti correlazioni con gli esiti», affermano gli esperti.

Tuttavia, il Dr. Knoop e Wiborg sostengono invece che «un aumento dell’attività fisica non è altro che un catalizzatore per modificare le cognizioni riguardo all’attività e ai sintomi nei pazienti con sindrome da stanchezza cronica».

I ricercatori olandesi suggeriscono che le indagini future dovrebbero focalizzarsi su come queste credenze possano essere modificate in modo più rapido ed efficace. Una volta che un paziente è convinto della possibilità di incrementare la propria capacità, sostengono, si è già compiuto un passo significativo verso il recupero, indipendentemente dal livello effettivo di attività.

Prospettive Recenti e Nuove Ricerche

Nel 2024, la ricerca sulla sindrome da affaticamento cronico continua a evolversi. Recenti studi hanno rivelato che una combinazione di approcci psicologici e fisici, inclusa la terapia cognitivo-comportamentale, unitamente a programmi di esercizio supervisionato, può portare a miglioramenti notevoli nella qualità della vita dei pazienti. Una revisione sistematica pubblicata di recente ha dimostrato che il 70% dei pazienti ha riportato un aumento della funzionalità dopo aver seguito un programma integrato di CBT e GET.

Inoltre, il monitoraggio continuo delle credenze e delle paure legate all’esercizio ha dimostrato di essere fondamentale nel percorso di recupero. Tecniche innovative, come l’uso di app per la salute mentale, sono state implementate per aiutare i pazienti a superare le loro paure e a promuovere una maggiore attività fisica.

Con l’avanzare della ricerca, la comunità medica si sta rendendo conto sempre di più dell’importanza di un approccio personalizzato nella gestione della CFS. La relazione tra paziente e terapeuta gioca un ruolo cruciale, e il supporto emotivo è essenziale per affrontare le sfide quotidiane legate alla malattia. Solo attraverso un approccio olistico e integrato sarà possibile migliorare in modo significativo la vita dei pazienti affetti da sindrome da affaticamento cronico.

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