In un piccolo studio pilota, un team di ricercatori statunitensi ha scoperto come la vitamina D3, una forma di vitamina D, e gli acidi grassi omega 3 possano aiutare il sistema immunitario a liberare il cervello dalle placche amiloidi, una delle caratteristiche fisiche del morbo di Alzheimer.
Dovuto comparire questa settimana nel numero stampato del Journal of Alzheimer’s Disease, il nuovo studio si basa su precedenti lavori dello stesso team dell’Università della California – Los Angeles (UCLA).
Il coautore Milan Fiala, ricercatore alla David Geffen School of Medicine della UCLA, afferma in una dichiarazione rilasciata lunedì:
«Il nostro nuovo studio getta ulteriore luce su un possibile ruolo delle sostanze nutritive come la vitamina D3 e l’omega-3 nell’aumentare l’immunità per combattere l’Alzheimer».
La vitamina D3 è essenziale per la salute delle ossa e del sistema immunitario. La fonte principale della vitamina, che è prodotta nella pelle, è il sole. Le carenze possono verificarsi durante i mesi invernali o per le persone che trascorrono molto tempo in casa, come quelle affette da Alzheimer.
Gli acidi grassi Omega 3 sono grassi che si trovano comunemente negli oli marini e vegetali. Sono considerati essenziali, nel senso che non possono essere sintetizzati nel corpo ma sono vitali per un metabolismo sano. Si pensa che giochino un ruolo importante nel ridurre l’infiammazione in tutto il corpo.
Nel loro lavoro precedente, i ricercatori hanno dimostrato come certi meccanismi regolati dalla vitamina D3 aiutino a rimuovere la beta-amiloide, la proteina anomala che si accumula nelle placche appiccicose, ostruendo gli spazi di comunicazione tra le cellule cerebrali nei pazienti affetti da Alzheimer.
Nel nuovo studio, estendono ciò che hanno scoperto sulla vitamina D3 e sottolineano il ruolo di un acido grasso chiamato omega-3 DHA (acido docosaesaenoico).
Identificano i geni chiave e le vie di segnalazione controllate dalla vitamina D3 e dal DHA omega-3, che possono aiutare il sistema immunitario a regolare l’infiammazione e a eliminare la placca.
Per il loro studio, Fiala e colleghi hanno isolato cellule immunitarie prelevate da campioni di sangue di pazienti affetti da Alzheimer e di volontari sani per il confronto. Le cellule immunitarie di interesse sono i macrofagi, che hanno il compito di eliminare prodotti di scarto come la beta-amiloide, altrimenti in grado di ostruire gli spazi tra le cellule e interferire con la comunicazione tra di esse.
I ricercatori hanno incubato i macrofagi per alcune ore con beta-amiloide. Ad alcune cellule hanno poi aggiunto una forma attiva di vitamina D3 o una forma attiva di omega 3 DHA, osservando gli effetti sull’infiammazione e sulla capacità dei macrofagi di assorbire la beta-amiloide.
(La forma attiva della vitamina D3 utilizzata è chiamata 1α, 25-diidrossivitamina D3; la forma attiva di omega 3 DHA è chiamata resolvin D1).
È emerso che entrambe le forme attive di vitamina D3 e omega 3 DHA hanno migliorato la capacità dei macrofagi, prelevati dai campioni di sangue dei pazienti affetti da Alzheimer, di assorbire la beta-amiloide. Inoltre, si è osservato un ridotto tasso di morte cellulare normalmente innescato dalla beta-amiloide.
I ricercatori hanno anche notato che la vitamina D3 e l’omega 3 DHA attivano diversi recettori e le stesse vie di segnalazione.
Uno dei principali contributi del nuovo studio è l’identificazione delle differenze tra i macrofagi dei malati di Alzheimer e quelli dei controlli sani, evidenziando che nei pazienti affetti da questa malattia ci sono differenze significative nei macrofagi.
Le principali differenze riguardano l’espressione genica e i modelli di trascrizione. I macrofagi dei malati di Alzheimer presentavano un’espressione genica infiammatoria diversa rispetto ai controlli sani, con due distinti gruppi di pazienti. In un gruppo, i macrofagi mostravano un’aumentata trascrizione dei geni infiammatori, mentre nell’altro la trascrizione risultava diminuita.
La trascrizione è il primo passo per leggere le istruzioni nel DNA per creare le proteine.
I ricercatori sottolineano la necessità di ulteriori studi per scoprire se questi due diversi modelli di trascrizione dei geni infiammatori rappresentano stadi differenti dell’Alzheimer o addirittura tipi distinti di malattia.
Fiala suggerisce che le scoperte potrebbero evidenziare differenze legate all’assunzione insufficiente dei nutrienti essenziali o alla capacità del corpo di utilizzarli.
«Potremmo scoprire che è fondamentale bilanciare attentamente la supplementazione con vitamina D3 e acidi grassi omega-3, a seconda di ciascun paziente, per promuovere una pulizia efficace della beta-amiloide», afferma Fiala.
«Questo è un primo passo per comprendere quale forma e in quali pazienti queste sostanze nutritive potrebbero funzionare meglio», aggiunge.
I fondi dell’Associazione Alzheimer hanno sostenuto la fase iniziale dello studio.
Fiala è consulente di Smartfish, una società biotech norvegese che produce una bevanda contenente una forma attiva di omega-3 DHA.
Nel 2009, Fiala è stato coautore di un articolo che mostrava come i curcuminoidi, sostanze presenti nella spezia curcuma, aumentassero il legame della beta-amiloide ai macrofagi e come la vitamina D stimolasse fortemente l’assorbimento della beta-amiloide nei macrofagi.
Nuove Prospettive e Ricerche Recenti
Negli ultimi anni, la ricerca sull’Alzheimer ha fatto importanti progressi. Nuovi studi hanno evidenziato che l’integrazione di vitamina D e omega-3 potrebbe non solo migliorare la risposta immunitaria, ma anche avere effetti neuroprotettivi. Ad esempio, secondo una ricerca condotta nel 2023, si è scoperto che i pazienti con livelli adeguati di vitamina D presentano una riduzione significativa dei sintomi cognitivi.
Inoltre, un’analisi recente ha dimostrato che l’assunzione regolare di omega-3 può contribuire a migliorare la memoria e le funzioni cognitive. I dati suggeriscono che una dieta ricca di pesce e integratori di omega-3 possono avere effetti positivi sulla salute cerebrale.
Infine, uno studio pubblicato nel 2024 ha esaminato il ruolo sinergico di vitamina D e omega-3 nella modulazione dell’infiammazione cerebrale, evidenziando potenziali meccanismi attraverso i quali questi nutrienti possono lavorare insieme per contrastare l’Alzheimer. Questi risultati aprono la strada a nuove strategie di trattamento e prevenzione per questa malattia devastante.