Sognare e Prevenire la Demenza: Nuove Scoperte sulla Fase REM

Secondo una nuova ricerca, il rapido stadio del sonno degli occhi – che è il momento in cui si verifica la maggior parte dei nostri sogni – può aumentare il rischio di demenza se questa fase non è sufficientemente presente.

Un uomo che dorme serenamente nel suo letto, sognando.

È noto che le persone con demenza spesso sperimentano disturbi del sonno. Tuttavia, i ricercatori non hanno ancora compreso appieno perché questi disturbi si verifichino e se le diverse fasi del sonno influenzino le probabilità di sviluppare la demenza.

Un nuovo studio – pubblicato sulla rivista – analizza la fase di sonno REM e se esista un legame tra questa fase e l’incidenza di demenza.

In parole semplici, il sonno si divide in due grandi fasi: REM e non-REM. Approfondendo, le prime quattro fasi sono tutte non-REM. La quinta ed ultima sottofase, REM, avviene generalmente dopo 90 minuti di sonno non-REM, ed è in questo momento che il cervello è più attivo e produce la maggior parte dei sogni.

Il primo autore del nuovo studio è Matthew Pase, Ph.D., della Swinburne University of Technology di Melbourne, in Australia. Il dott. Pase e il suo team hanno esaminato i dati del vasto Framingham Heart Study (FHS), avviato nel 1971.

Studiare il Sonno REM e il Rischio di Demenza

Il dott. Pase e i suoi colleghi hanno analizzato un sottogruppo di partecipanti al FHS che avevano preso parte allo studio della salute del cuore per tre anni, tra il 1995 e il 1998.

Al momento dello studio, i partecipanti avevano almeno 60 anni e metà di loro erano maschi. Le fasi del sonno sono state valutate utilizzando uno studio del sonno domestico, noto come polisonnografia, un metodo ampiamente utilizzato per la valutazione delle fasi e dei disturbi del sonno.

Questo test può determinare i cicli del sonno e le diverse fasi, come REM e non-REM, registrando parametri fisiologici e onde cerebrali.

Il team ha seguito i partecipanti fino a 19 anni, cercando casi di demenza. Durante il periodo di follow-up, il dott. Pase e colleghi hanno identificato 32 diagnosi di demenza, 24 delle quali erano casi di malattia di Alzheimer.

Coloro che hanno sviluppato demenza hanno trascorso il 17% del loro sonno totale in fase REM, mentre quelli senza diagnosi di demenza hanno trascorso in media il 20% in REM.

Meno REM si Correlano con il Rischio di Demenza

I ricercatori hanno preso in considerazione variabili come sesso ed età, trovando una forte correlazione tra una percentuale più bassa di sonno REM e un rischio più elevato di demenza, così come una maggiore latenza del sonno REM, che indica quanto tempo ci vuole per raggiungere la fase REM.

In particolare, per ogni punto percentuale di diminuzione del sonno REM, i ricercatori hanno registrato un aumento del 9% nel rischio di demenza.

Questa correlazione è rimasta significativa anche dopo aver considerato fattori confondenti come i fattori di rischio cardiovascolare, la depressione e l’uso di farmaci.

Il Dr. Pase e il suo team hanno escluso dalla loro analisi coloro che presentavano un lieve deterioramento cognitivo – un segnale precocissimo dell’Alzheimer – all’inizio dello studio, così come quelli che avevano sviluppato demenza all’inizio della ricerca.

Il dott. Pase ha discusso il significato di questi risultati.

«Nel nostro studio, l’associazione tra una riduzione del sonno REM e la demenza non è stata influenzata da fattori come il deficit cognitivo al basale o da coloro che si sono convertiti in demenza entro i primi tre anni, il che suggerisce che una diminuzione del REM non è semplicemente una conseguenza iniziale della demenza.»

Matthew Pase, Ph.D.

Parlando dei possibili meccanismi che potrebbero spiegare i risultati, ha affermato: «Non abbiamo risposte definitive, ma abbiamo formulato alcune ipotesi».

«I meccanismi possibili possono includere (i) stress o ansia, che possono diminuire il sonno REM e aumentare il rischio di demenza, (ii) il ruolo di disturbi del sonno come l’apnea notturna, che può interrompere il sonno REM e aumentare il rischio di demenza, e (iii) un sonno REM adeguato potrebbe aiutare a mantenere l’integrità cerebrale di fronte ai cambiamenti legati all’invecchiamento e all’inizio della malattia di Alzheimer».

Punti di Forza e Limiti dello Studio

Gli autori evidenziano alcuni punti di forza e limiti del loro studio. Tra i punti di forza, sottolineano che si tratta di una ricerca basata sulla popolazione. Tuttavia, lo studio è limitato dalla piccola dimensione del campione e dalla sua composizione etnica prevalentemente caucasica.

A causa delle dimensioni ridotte del campione, ci sono stati pochi eventi incidenti, il che significa che i ricercatori «avevano un potere limitato di identificare associazioni più deboli ma potenzialmente importanti con altre esposizioni legate al sonno e alla demenza».

La lunga durata del follow-up e l’uso della polisonnografia per esaminare l’architettura del sonno sono considerati ulteriori punti di forza della ricerca.

«Futuri studi dovrebbero confermare i nostri risultati e determinare i meccanismi che collegano il sonno REM alla demenza», concludono i ricercatori.

Il dott. Pase ha anche parlato dello studio e delle aree per la futura ricerca. Ha dichiarato: «Sebbene il nostro studio sia piccolo rispetto alla coorte più ampia del Framingham Heart Study, rappresenta comunque un ampio campione, dato che tutti i partecipanti sono stati sottoposti a uno studio del sonno durante la notte e a un follow-up sulla demenza».

«Ci sono pochi altri studi che presentano dati simili. Stiamo attualmente indagando se altri possano avere dati analoghi e se sia possibile combinare analisi e risultati».

Nuove Prospettive sulla Salute Cerebrale nel 2024

Le recenti ricerche sul sonno REM e il rischio di demenza si stanno ampliando, portando a nuove prospettive sulla salute cerebrale. Nel 2024, diversi studi stanno esaminando come le abitudini di sonno moderne, influenzate da tecnologia e stili di vita frenetici, possano contribuire a un aumento delle problematiche cognitive negli anziani.

In particolare, si stanno osservando i legami tra l’uso di dispositivi elettronici prima di dormire e la qualità del sonno. Dati recenti suggeriscono che l’esposizione alla luce blu emessa da smartphone e computer potrebbe interferire con la fase REM del sonno, portando a una riduzione della sua durata e, di conseguenza, a un aumento del rischio di demenza.

Inoltre, i nuovi approcci terapeutici, come la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia, stanno guadagnando attenzione. Questi metodi si sono dimostrati efficaci non solo nel migliorare la qualità del sonno, ma anche nel ridurre i sintomi di ansia e depressione, che sono fattori di rischio noti per la demenza.

Infine, il monitoraggio della salute del sonno attraverso tecnologie indossabili sta emergendo come uno strumento prezioso per raccogliere dati individuali e personalizzati, contribuendo a campagne di prevenzione e a una migliore gestione della salute cerebrale. La connessione tra sonno, sogni e salute cognitiva sta diventando sempre più chiara, aprendo la strada a ulteriori ricerche e a possibili interventi futuri.

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