I ricercatori hanno sviluppato un innovativo esame del sangue in grado di prevedere con una precisione del 90% se una persona sana svilupperà Alzheimer o un deterioramento cognitivo entro tre anni. Hanno identificato e convalidato dieci biomarcatori fondamentali che costituiscono la base del test, come riportato in uno studio pubblicato di recente.
Il leader dello studio, Howard J. Federoff, professore di neurologia presso il Medical Center della Georgetown University di Washington, ha affermato:
«Il nostro nuovo esame del sangue offre il potenziale per identificare le persone a rischio di declino progressivo, cambiando così il modo in cui pazienti, famiglie e medici pianificano e gestiscono la malattia».
I tassi di malattia di Alzheimer, una condizione che provoca un lento ma inesorabile deterioramento delle cellule cerebrali, con conseguenti perdite di memoria e declino mentale, stanno aumentando rapidamente in tutto il mondo. Questa malattia colpisce principalmente le persone anziane, sebbene esistano forme rare che possono manifestarsi in età più giovane.
Nel 2010, si stimava che circa 35 milioni di persone nel mondo fossero affette da Alzheimer. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede che questo numero raddoppierà ogni vent’anni, raggiungendo i 115 milioni entro il 2050.
Rilevare l’Alzheimer nelle Fasi Precliniche: Un Passo Fondamentale
Attualmente, non esistono trattamenti in grado di curare o fermare la malattia, e gli scienziati ritengono che questo sia in gran parte dovuto alla difficoltà di rilevarla prima che progredisca fino a quando i sintomi clinici diventano evidenti.
I ricercatori hanno creato un test del sangue che può prevedere con una precisione del 90% lo sviluppo di compromissione cognitiva entro tre anni.
Il Professor Federoff spiega che, nonostante i numerosi tentativi di produrre farmaci che rallentino il decorso della malattia, tutti si sono rivelati inefficaci. Una delle ragioni potrebbe essere che i farmaci vengono testati troppo tardi, quando la malattia è già in fase avanzata.
Pertanto, lui e i suoi colleghi si sono concentrati sullo stadio preclinico della malattia, cercando biomarcatori o molecole rivelatrici che iniziano a circolare nel sangue prima che la malattia prenda piede.
Ogni anno, per cinque anni, i ricercatori hanno esaminato memoria e capacità cognitive, raccogliendo campioni di sangue da oltre 500 partecipanti di età superiore ai 70 anni.
Hanno poi analizzato i dati di 53 partecipanti che hanno sviluppato Alzheimer o un lieve disturbo cognitivo (MCI), confrontandoli con 53 persone rimaste cognitivamente sane. Utilizzando la spettrometria di massa, hanno esaminato i campioni di sangue per identificare le differenze nella composizione chimica delle molecole.
Dieci Biomarcatori del Sangue Predicono l’Alzheimer e il MCI con una Precisione del 90%
Sono stati identificati dieci fosfolipidi, un tipo di grasso essenziale nelle membrane cellulari, presenti a livelli costantemente inferiori nei campioni di sangue della maggior parte dei partecipanti che sviluppavano Alzheimer o MCI. I risultati sono stati convalidati in un ulteriore gruppo di 41 partecipanti.
Il Professor Federoff afferma:
«Il pannello lipidico è stato in grado di distinguere con il 90% di accuratezza questi due gruppi: i partecipanti generalmente normali che avrebbero sviluppato MCI o Alzheimer entro due o tre anni e quelli che sarebbero rimasti normali nel prossimo futuro».
I ricercatori credono che i dieci biomarcatori selezionati mostrino segni di cambiamenti che avvengono quando le membrane delle cellule cerebrali iniziano a degradarsi. Due di questi biomarcatori sono già stati associati all’Alzheimer.
Ritengono che le loro scoperte rappresentino un passo significativo verso la creazione di un test sui biomarcatori che potrebbe essere utilizzato per lo screening su larga scala per identificare le persone a rischio di Alzheimer o MCI.
Il Professor Federoff illustra i risultati nel video qui sotto:
Domande Rimaste: Necessità di Ulteriori Test
Ti saresti mai chiesto se potresti avere una malattia incurabile?
Sebbene questa scoperta rappresenti un potenziale progresso nella diagnosi dell’Alzheimer, la malattia rimane attualmente incurabile, sollevando interrogativi etici sulla possibilità che i pazienti possano trarre beneficio dall’essere informati in anticipo riguardo a una condizione incurabile.
Inoltre, il tasso di precisione del 90% lascia aperto un margine del 10% di incertezze. Secondo quanto riportato da NBC News, non sono stati registrati «falsi negativi» nell’analisi del sangue, ma il Professor Federoff ha aggiunto: «Non abbiamo trovato nessun individuo che fosse risultato positivo al test che sia diventato demente». Quindi, esiste la possibilità che il 10% dei pazienti riceva un falso positivo?
Il Professor Federoff sottolinea che è necessario che laboratori indipendenti effettuino studi più ampi, su periodi di tempo più lunghi, considerando diverse fasce di età e un campione razziale più diversificato, per confermare i risultati. Aggiunge:
«Intendiamo progettare una sperimentazione clinica in cui utilizzeremo questo pannello per identificare le persone a rischio di Alzheimer, al fine di testare un agente terapeutico che potrebbe ritardare o prevenire l’insorgenza della malattia.»
Lo studio è stato finanziato dal National Institutes of Health e dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
Nel frattempo, è stato recentemente divulgato un altro studio condotto da ricercatori statunitensi e australiani, che hanno scoperto biomarcatori del morbo di Alzheimer associati all’emergere dei sintomi. Hanno osservato che le concentrazioni di tre biomarcatori proposti per l’Alzheimer nel fluido spinale sono più elevate durante la fase preclinica della malattia. Queste informazioni potrebbero rivelarsi fondamentali per gli studi clinici sui farmaci destinati al trattamento o alla prevenzione della malattia.
Nuove Prospettive per il Futuro
Con l’emergere di queste nuove ricerche, il panorama della diagnosi e della gestione dell’Alzheimer potrebbe subire una trasformazione radicale. L’attenzione verso la diagnosi precoce e l’identificazione dei biomarcatori potrebbe non solo migliorare la qualità della vita dei pazienti, ma anche aprire la strada a nuove strategie terapeutiche in grado di affrontare la malattia in fasi più iniziali.
Aspettiamo con interesse ulteriori studi e sperimentazioni cliniche che possano confermare e ampliare queste scoperte, portando a una lotta più efficace contro l’Alzheimer e a un miglioramento delle prospettive per milioni di persone in tutto il mondo.